Il borgo è una famosa località balneare del Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano. È una delle frazioni del comune di Ascea da cui dista 4 km e vanta una notevole posizione strategica essendo facilmente raggiungibile sia con la macchina che in treno. Le lunghissime spiagge sono formate da granelli di sabbia finissimi, avvolte da una splendida macchia mediterranea e da meravigliosi ulivi. Il mare cristallino ha sfumature turchesi e celesti ed ogni anno si aggiudica la bandiera blu. La magica scogliera di Punta del Telegrafo è caratterizzata da calette e insenature da sogno; più nascoste vi sono Baia d'Argento e Baia della Rondinella che sono raggiungibili solo via mare. L’antico gruppo di case dei pescatori è chiamato “Quartiere arabo” ed è interessante da visitare prima di raggiungere nelle immediate vicinanze l’incantevole Velia in cui si trovano le rovine di un'antica polis della Magna Grecia. Numerosi sono gli eventi musicali e gastronomici che si svolgono ogni anno attirando molti partecipanti.
L’Antonini deriva il toponimo dal greco alpha skia (sine umbra) soleggiato, che contrasta con la natura dei luoghi in età greca, quando la polis era circondata da folti boschi, come quello della collina di Ascea che si univa con il bosco attraversato dal torrente Bruca le cui acque, scendendo dall'omonimo bosco sotto Cuccaro Vetere, lambivano le mura di Velia.
Non è da escludere, piuttosto, che il toponimo derivi da «Isacia», una delle due isole (Enotridi) ricordate da Strabone e da Plinio, che erano nel seno velino e furono poi sommerse dal succedersi delle alluvioni che hanno spostato la foce dell'Alento a oltre tre chilometri dal porto dove Cicerone vide la nave di Verre colma di prede siciliane.Nell'Archivio della Badia cavense manca qualsiasi notizia utile sull'abitato nell'età prenormanna, malgrado l'attento esame dei due diplomi che riguardano Castellammare della Bruca-Velia.
I due diplomi sono relativi alla donazione pro anima di «Alfanus de castello maris» alla Badia cavense della bizantina chiesa di S. Quiricio sull'acropoli, con tutte le sue pertinenze, e alla conferma, alla medesima Badia, della proprietà delle terre possedute da Roberto di Trentinara e Giordano di Corneto a Terricelle.
I documenti cavensi ci informano pure dei trasferimenti di famiglie greche di Calabria nel territorio dell'odierno Cilento, come ho mostrato altrove.Poiché Ascea era nella baronia di Castellammare della Bruca-Velia è da presumere che il villaggio fosse stato concesso da Federico II a Gualtiero de Cicala, congiunto del grande capitano imperiale Andrea, che fu poi uno dei capi della congiura contro l’imperatore. Pare che Gualtiero si fosse asserragliato nel castello di Velia, naturalmente non nella cilindrica torre angioina odierna, elevata sulle rovine del castello fatto radere al suolo dall'imperatore dopo la congiura di Capaccio.
L'imperatore avocò al fisco i beni di Gualtiero, donando poi il feudo di Castellammare con tutti i suoi casali al nipote di Riccardo di Montenero, Raimondo di Avella. Dopo la morte dell’imperatore, papa Innocenzo IV, con suo diploma, restituì il feudo a Gualtiero de Cicala. Re Manfredi donò poi il feudo, insieme al principato di Salerno e alla baronia di Cilento, allo zio Galvano Lancia. Ma re Carlo I d'Angiò, avocati alla baronia i feudi dei Lancia, donò ilfeudo di Castellammare (a. 1275) ad Andrea e Boffilo del Giudice, signori di Capaccio.
Nel XIV secolo la baronia di Castellammare della Bruca con i casali di Ascea e Terradura e i castra (luoghi fortificati) di Catona e Torricelle, erano in possesso di Amelio del Balzo, fedele e consigliere del re. Estintasi senza eredi la famiglia del Balzo, la baronia pare che fosse tornata alla famiglia del Giudice, che la vendette per la notevole somma di 500 once, secondo quanto riportato dal Mandelli, a Francesco Capano di Pollica. Questo alienò il feudo a favore di Francesco Sanseverino di Lauria, il cui stemma, a dire dell'Antonini, era scolpito a Velia in due punti del castello. Il Sanseverino acquistò la baronia con i casali di Ascea, Terradura e Catona, insieme coni trappeti, le mortelle e i mulini della Stanfella, donandola poi alla Santa Casa dell'Annunziata di Napoli.
A seguito del clamoroso fallimento della Santa Casa, nel '700, i creditori nominarono loro rappresentante il duca Lucio Caracciolo di S. Vito che, prestato il ligio omaggio, ebbe a sua volta, il giuramento di fedeltà dei diversi casali, tra cui Ascea che prestò il giuramento al rappresentante del duca, notaio Pietro di Sessa.
Nel 1731 il feudo fu venduto dai creditori della Santa Casa a Giuseppe Stefano Maresca di Ascea per 87.450 denari. Da costui (m. 16 marzo 1761) il feudo passò per refuta a Nicola Maresca (6 febbraio 1789).
LATITUDINE: 40.1506334
LONGITUDINE: 15.162446000000045
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